Per una mappa dei luoghi della Piada

di Tinin Mantegazza

da PIADA  "Romagna Città Futura"

"La Piada o Piadina, detta anche Piè, è un tipo di focaccia in uso in Romagna sin dal Medioevo e si può dire cibo emblematico della regione".

Così se la cava un'enciclopedia gastronomica, ma è una delle poche notizie che si hanno di questo pane-piatto d'origine ben più lontana del Medioevo.

Un'altro dizionario dice: "Piada, nome romagnolo di una focaccia di farina chiamata altrove torta, schiacciata o pizza. Si impasta la farina con acqua, sale e un po’ di strutto senza lievito; si riduce col matterello in forma rotonda e schiacciata, si cuoce su un disco di terra refrattaria arroventato a vivo fuoco di legna o su una lastra di pietra".

In realtà il pane non lievitato e cotto sulla pietra è antichissimo: è il primo pane da quando l'uomo, probabilmente masticando, ha scoperto, che i cereali macinati e impastati con l'acqua diventavano buoni se cotti su una pietra calda.

Il pane lievitato invece è molto più recente.

Volendo fare un'ampia perlustrazione nel panorama delle "gallette" o "focacce" non lievitate troviamo in India il "Chapatty" e il "Ciorak", in Sardegna la sottilissima "Carta musica" e la "Spianata", in Messico la "Tortilla", mentre c'è una focaccia turca che si chiama "Pidè", poi ci sono ì "Testaroli" pontremolesi che però vogliono una seconda cottura in acqua bollente e quindi conditi come una pasta asciutta; si potrebbero citare anche determinate torte come la "Farinata" ligure che in Toscana viene chiamata "Cecìna" ed è appunto un impasto di acqua, sale e farina di ceci, ovvero il "Castagnaccio" fatto con farina di castagne, però per questi la cottura è nel forno a legna, come per la Pizza napoletana o le varie Focacce regionali che però a loro volta prevedono la pasta lievitata, (sia per lievitazione naturale che per impasto col lievito) e che hanno origini più recenti.
Contrariamente alla pizza che ha avuto diffusione nel mondo, la piadina è rimasta in Romagna ed appare un po’ buffo veder scritto sui "baracchini" dove la si produce: "Piadina Romagnola", come se esistessero piadine alsaziane o valtellinesi.

Nella sua unicità territoriale la piada, differentemente dagli altri pani azzimi, può prevedere nell'impasto la presenza dello strutto o di altri grassi animali o vegetali, però attenzione: così come accade per la pizza, che a Napoli è più sottile che a Vico Equense ed è più morbida che a Salerno, per la piadina è sufficiente spostarsi di qualche chilometro per trovare delle differenze di spessore o di diametro, ma anche di sapore e di "sfogliatura".

Cibo povero, di non facile digestione, in modo da tener sopiti i morsi della fame più a lungo. questo pane che non assorbe i sughi e che va consumato caldo, ha anche estimatori ai quali piace secco, inzuppato nel caffelatte.

In anni difficili la piada ha risolto il problema dell'alimentazione, c'è chi racconta che talvolta la si mangiava con il pane, infatti ha un sapore gradevole e tra i suoi consumatori c'è chi la preferisce da sola, mentre altri, identificandola come pane piatto, l'accompagnano a cibi più proteici come gli affettati e i formaggi oppure, vera delizia, le erbette cotte.

Senza voler togliere nulla al settecentesco lord Sandwich, inventore del panini imbottito, la piadina imbottita ha ben più antiche origini e in tempi recenti ha conosciuto anche nuove varianti come gli arrosti, i wurstel e ... dulcis in fundo : la marmellata di nocciole e la cioccolata.

Prima dell'avvento del turismo di massa sulla costa romagnola, la pida era alimento casalingo di tale umiltà da non trovare citazione nè ne "L'arte di utilizzare gli avanzi della mensa" di Olindo Guerrini nè ne "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" del Pellegrino Artusi, eppure i due autori erano romagnoli e la dovevano conoscere bene.

Un altro singolare fenomeno romagnolo é quello dei nomi "laici" dovuti all'inventiva dei padri che ricadeva (ricade) sugli ignari pargoletti con nomi del tutto fantasiosi purché non presenti tra quelli dei Santi celebrati sul lunario; lo scrittore ravennate Tino Dalla Valle gli ha dedicato il gustoso e ormai raro libretto "I nomi romagnoli" dove se ne trovano elencati , tra i tanti, alcuni di ispirazione alimentare : le sorelle Noce e Moscata, Uvadeo, Albana, Trebbiano, Insalatina (di cognome Fogli), sino alla recente Milkana, ma in quel volume, pur redatto dopo anni di attente e divertite ricerche, non c'é traccia alcuna di Pida, Piada o Piadina.

Può solo rimanere il lecito sospetto che da qualche parte esistano due sorelle di nome Pia e Dina e magari una terza chiamata Ada o meglio lada.

Invece il nostro azzimo romagnolo dimenticato nei ricettari e all'anagrafe, trova degna ospitalità nella poesia: basti ricordare le rime di Pascoli e Spallicci.

Così come le "poverazze", quelle vongolette in altri tempi tanto numerose sul bagnasciuga da consentire a chiunque di raccoglierle per cibarsi e chiamate così proprio perché considerate cibo povero per i poveri, diventano il titolo di uno splendido libro di poesie di Marino Moretti, e quindi assumono una loro monumentalità, la piadina, che ha sfamato molti nei tanti anni duri ed oggi é anche gioia dei turisti golosi, diventando attrattiva locale ed autentico simbolo della Romagna, meriterebbe un grande monumento.

Sino agli anni' 60 la pié veniva consumata nelle trattorie in collina o nelle case dove le "azdore" la tiravano a colpi di mattarello, magari dopo aver fatto altrettanto per la sfoglia dei tagliolini: i baracchini agli angoli delle strade erano rarità.
Allora la si cucinava sul "testo" di terra refrattaria scaldato sulle braci, oggi la si stende con la macchina elettrica e la si cuoce sulla piastra di ghisa: I' artigianato specialistico s'é sostituito all'eclettica casalinga, ma l'impasto é ancora quello là: acqua, farina, sale, e i pochi altri ingredienti, talvolta segreti, altre volte dichiarati con orgoglio (bicarbonato?, olio?, strutto?, burro?) e, quello che più conta, I' attenta cottura valutata ad occhio, che deve essere al punto giusto : né poco, né troppo.
Esiste poi un derivato della piadina, che non va dimenticato : quel "pacchetto" di sfoglia nel quale viene richiuso un ripieno e che si cuoce pure lui sulla piastra.
Simile al "Calzone" napoletano, questa specialità che in origine si riempiva con le erbette, oggi ha molte variabili : può contenere mozzarella e pomodoro piuttosto che prosciutto cotto e formaggio.

E' curioso come questo prodotto abbia differenti denominazioni : in certi luoghi é chiamato "Cassone" , in altri "Crescione", il primo deriva certamente dall'antico e dialettale "Cunsum", mentre l'altro potrebbe provenire dal formaggio "Crescenza" o, molto più probabilmente, dal suo gonfiarsi in cottura.

Oggi in questa singolare ed estesa città che si chiama Romagna, dove centri produttivi, turistici e commerciali si avvicendano a zone agricole in un tutt'uno variegato di pluralità amministrative decentrate, così diverso - e più umano - dalle altre congestionate e monocentriche aree metropolitane d'Italia, la rete stradale é punteggiata da quei "baracchini" che hanno trovato una loro estetica di riconoscibilità con colorazioni a strisce che li inserisce nel paesaggio caratterizzandolo al punto da suggerire al viaggiatore che li incontra di esclamare: "Siamo arrivati in Romagna!"

Anche se l'artigianato della piadina ha meccanizzato alcuni processi produttivi, la manualità é prevalente e immodificabile, così come l'attenzione alla cottura dipende da quel fattore umano che nessun "timer" potrà mai sostituire: il "piadarolo" è - non può essere diversamente - un artefice di consumata esperienza, la cui abilità va riconosciuta e segnata su una mappa dei "luoghi da Piada" che un giorno non lontano andrà certamente compilata.

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