PIEMONTE - Roure

Roure è un comune di media montagna, nell'Alta Val Chisone in Provincia di Torino, situato in una vallata attraversata dal Torrente Chisone, nei pressi di Sestrieres.

E' costituito da quattro frazioni principali e una miriade di piccole borgate per la maggior parte semi-abbandonate.

Le pendici della montagna sono per la gran parte ricoperte da bosco ceduo che ha preso il posto dei prati un tempo fonte di reddito agricolo per gli abitanti del comune.

 

Il forestiero che giunge a Roure e cerca il capoluogo con questo nome non lo trova; infatti il nome di Roure si riferisce a tutto il territorio comunale che comprende le quattro frazioni principali di Castel del Bosco, Chargeoir ora Roreto (nome variato durante il fascismo), Balma e Villaretto e le numerose borgate ancora abitate e fiorenti come ad esempio Gleisolle e altre abbandonate o utilizzate solo per le vacanze.

La gastronomia è fatta di prodotti locali semplici, naturali e genuini che sono sopravissuti nonostante l'incalzare della civiltà industriale e vengono ancora riproposti nei ristoranti tipici, negli agriturismi o in occasioni di feste paesane e consumati dalle famiglie nei giorni di festività religiose.

Si tratta di una cucina che segue il ritmo delle stagioni e si avvale dei prodotti della terra e di ciò che la natura offre spontaneamente: erbe, fiori, semi.

Anche la cucina è profondamente legata alla storia ed all'ambiente; si richiama infatti a situazioni legate alla permanenza o al passaggio di popoli differenti nonché alle influenze reciprocamente effettuate nella zona frontaliera.

La cucina era, un tempo, basata sui prodotti della montagna: patate, latte, polenta, castagne, pane, uova e formaggio (il pane, le patate e la polenta erano alla base dell'alimentazione contadina).

I gofri rappresentano un piatti ancora molto diffuso nell'Alta Val Chisone, si tratta di una cialda cotta in una padella di forma particolare (le gofriere) .

Da tempo immemorabile vengono preparate nelle famiglie ogni volta che vi è un'occasione per incontrarsi e stare in compagnia.

Oggi è comune trovarli nelle feste paesane di tutta la vallata, anche farciti con marmellata, miele o cioccolata oppure con prosciutto, salame o formaggio.

"I ferri a Gaufres" 

I ferri a gaufres devono la loro origine ai ferri di cui si serviva la chiesa per la confezione delle ostie.

La forma schiacciata del pane consacrato cominciò ad apparire in Oriente alla fine del quarto secolo e S. Epifanio, morto nel 403 d.C., fu il primo a fare degli accenni su questo tipo di pane rotondo.

Anche in Occidente le "oblate", dopo il quinto secolo, assunsero la forma arrotondata, ma di diametro superiore e di spessore notevolmente maggiore di quelle odierne.

Il più antico stampo di pietra fu trovato a Cartagine ed è risalente al sesto secolo; a partire dall'undicesimo secolo si utilizzò d'abitudine un'ostia più grande destinata al sacerdote e una più piccola per i fedeli; la produzione avveniva nei monasteri ed era riservata agli uomini.

Verso l'inizio del secolo dodicesimo diminuirono la dimensione dei pani e si formarono più ostie contemporaneamente grandi e piccole (all'inizio di 14 cm di diametro per poi scendere a 8-9 cm).

Il più antico ferro da ostie datato che si conosca in Italia risale al 1132 ed è conservato
al museo del vino di Torgiano (PE).

La decorazione degli stampi per ostie aveva come temi principali l'Agnello Pasquale, la flagellazione, la crocifissione e dei monogrammi.

Le ostie non consacrate venivano offerte durante i pellegrinaggi o nei giubilei; distribuite alle porte delle chiese permettevano ai fedeli di sostentarsi fino all'ora dei pasti.
Non considerate un alimento, potevano dare senso di sazietà senza nutrire, quindi il loro consumo non violava i precetti della Chiesa ed erano un risparmio per il pellegrino che le riceveva gratuitamente.

A partire dal quindicesimo secolo la produzione passò in mano anche ai laici e con il tempo i simboli sui ferri assunsero, oltre al simbolo della sacralità, la funzione profana di contraddistinguere un casato o una proprietà.

Il Rinascimento fu il periodo della "cialda personalizzata", quindi i ferri portavano incisi con gli stemmi araldici i nomi dei proprietari e talvolta quelli dell'incisore.

A partire da questo momento iniziò la produzione di ferri di grande pregio artistico usati per la produzione di dolci da consumarsi in occasioni speciali, in Umbria i nobili ed i Vescovi fecero decorare i loro ferri da orafi e zecchini, in Spagna i ferri entrarono nei beni inventariati delle diocesi mentre in Francia non mancarono nelle liste di nozze delle famiglie borghesi facoltose.

A partire da fine settecento i ferri cominciarono a cambiare nel materiale (dal ferro dolce si passò alla ghisa), nello spessore e nella tecnica di realizzazione del decoro (dal bulino alla stampa); diventarono sempre più rari i simboli ed i motivi geometrici e man mano vennero ad assomigliare sempre di più a dei quadretti.

Restò nel tempo immutata la tradizione di cuocere tra due piastre un composto a base di farina e acqua nelle ricette più semplici, con l'aggiunta di uova, zucchero, aromi naturali, panna, e birra nelle ricette più elaborate.

Le cialde arrivarono fino ai giorni nostri prodotte con nomi diversi e la tradizione
rimane viva in molte regioni dell'Europa.

I ferri per gaufres della media e alta Val Chisone, simili ai ferri prodotti da metà ottocento in poi nelle fonderie francesi e belghe, giunsero quasi sicuramente attraverso i contatti che gli abitanti delle vallate ebbero con le genti d'oltralpe per flussi migratori e religiosi.

I ferri, denominati in Val Chisone in grafia dell'Escolo dou Po goufrìe o goufriè, furono dapprima importati dalla vicina Francia o dalla Svizzera e poi prodotti da alcuni fabbri della zona.

Nelle piccole frazioni di montagna, dove era più difficile raggiungere il forno del pane, i gofri venivano fatti una volta alla settimana per alternarli al pane, mentre nei periodi di maggior ristrettezze economiche sostituiva non solo il pane, ma anche la pietanza.

Si consumavano anche con i ciccioli (lu grisilhoun) quando si ammazzava il maiale.

L'attività di fare i gofri è presente come memoria orale nei racconti di molti anziani, i quali ricordano che: "... di buon ora nei giorni di festa le donne preparavano la pasta composta di acqua, farina, sale e lievito (quello usato per fare il pane); lasciavano poi lievitare il tutto in un ambiente tiepido fino al pomeriggio quando venivano accesi i fuochi, e messe a scaldare le padelle.

Quando le piastre erano calde si ingrassavano con del lardo o con olio di semi di noci.

Si prendeva con un mestolo la pastella, si versava al centro e velocemente si richiudeva,
si girava poi il ferro per due o tre minuti.

All'apertura, se il gofre si staccava senza alcuna resistenza significava che era cotto a sufficienza, altrimenti si proseguiva la cottura per alcuni minuti.

Dimenticati negli anni '70 e'80 per lasciare il posto a prodotti più sofisticati, sono stati fortunatamente da qualche anno riscoperti durante le feste religiose e civili in bassa come in alta Val Chisone.

A differenza di altre cialde prodotte in altre parti d'Italia, i gofri si devono gustare appena cotti, la padella in ghisa dà la caratteristica doratura croccante all'esterno e morbida all'interno: il gofre di circa 22 cm di diametro si può consumare semplicemente così, oppure si può piegare e farcire all'interno con salumi, formaggi, marmellata, miele, ecc..., accompagnato con del buon vino è una ghiotta merenda sincera.

Oggi è facile e piacevole incontrare nelle piazze dei paesi della Val Chisone, a partire dal primo pomeriggio, i volontari di associazioni o pro loco che con le loro padelle fumanti si preparano per fare i gofri; grazie a loro questa tradizione si mantiene viva.

Nadia Brunetto

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