La Storia.
di Elide Giordani 

Dalla groppa dei buoi alle tavole ricercate.

L'espressione intenta, la mano sinistra ferma sullo stampo, la destra intorno ad un tozzo mazzuolo:
il legno cala sul legno con tre colpi sordi, rapidi, netti.
Ora, con sveltezza e precisione, si alza il clichè di legno: sulla tela bianca, ruvida  ("sincera" dicevano i romagnolisti di inizio secolo) è nato un tralcio di vite dall'incerto colore grigio-marrone, diventerà di un intenso colore ruggine.
Pampini, foglie e viticci combaciano con il segno precedente, né una sbavatura, né un'incertezza lasciano immaginare il paziente lavoro di collocazione e "battitura" degli stampi tante volte quante ne servono per bordare la tela o riempirla di disegni.
Quei colpi sordi, quell'espressione concentrata che si tramuta nella soddisfazione del lavoro fatto ad arte, sono gesti antichi,
per nulla, o quasi, modificati da centinaia d'anni a questa parte.
Le botteghe si sono fatte più ampie, le tele hanno attraversato i mari nelle valige dei turisti e dalle groppe dei buoi si sono trasferite sulle tavole accuratamente apparecchiate (senza però abbandonare mai quell'aria un po' rustica che le fa così particolari),
ma il metodo è ancora quello.
Del resto nessun altro potrebbe creare quell'effetto di artigianato schietto e genuino, originale in ciascuno dei suoi pezzi unici.

Collocate storicamente nell'ambito dell'artigianato povero, legato agli strumenti dell'essenziale creatività contadina, ossia stampi in legno di pero, colori ottenuti dalla ruggine, canapa coltivata nei campi e tessuta dai telai casalinghi, le tele romagnole stampate a mano hanno, però,
una data di nascita incerta ed antenati e consimili ancor più vaghi.
Gli storici hanno trovato riferimenti molto lontani a tessuti "battuti": è certo che l'arte della stampa con blocchi fosse nata dagli egiziani;
di tessuti stampati con tale tecnica ne parla il geografo greco Stabone nel 60 A.C.;
gli Statuti dei Pittori di Venezia ci tramandano notizia dei battuti veneziani relativi al 1441.
E' noto che i tessuti stampati con i cliché di legno, tra il '400 ed il '700, si producessero in tutti i paesi europei ed orientali
e che la tecnica (addirittura con decori oro ed argento) fosse universalmente impiegata dai decoratori di tessuti.
Fu la stampa a rotativa, inventata in Scozia nel 1785, a decretare, oltreché l'avvio di tecniche di impressione del tutto rivoluzionario,
il tramonto della stampa a mano con blocchi di legno.
E le tele romagnole?

Riproduzione di un esemplare del sec. XIX.
Stamperia Visini Meldola 

Per quanto i documenti più antichi in nostro possesso non vadano oltre i primi decenni dell'800, si può accreditare l'ipotesi che l'attività
delle tele romagnole stampate a mano sia precedente.
A quell'epoca, tuttavia, dovette essere complementare al lavoro delle tintorie e delle gualchiere, gli impianti dove si mettono a macerare canapa e lino, operazione indispensabile per procedere poi alla pettinatura e, successivamente alla filatura delle fibre.
Una collocazione che fu tipica anche nei momenti di declino dell'attività.
Comunque l'arte delle tele stampate a mano risulta diffusa nello Stato Pontificio, di cui la Romagna fece parte fino all'Unità d'Italia,
sin dal XVII secolo.
Appare realistico. dunque, collocare le botteghe romagnole come le ultime sopravissute di un gruppo operante nello Stato Pontificio
e nella stessa Roma sino alla fine del '700:
Certo è invece, anche se secondo alcuni ricercatori tale ipotesi appare un po' accondiscendente verso l'interpretazione folkloristica,
l'impiego dei prodotti delle stamperie romagnole come coperte con cui addobbare i buoi nelle occasioni di sagre e fiere
o per difenderli dai rigori dell'inverno.
Tori ed immagini di S. Antonio, protettore degli animali e santo assai caro alle tradizioni popolaresche della campagna, sono, infatti,
tra le figure più antiche e più classiche del repertorio iconografico delle tele romagnole.
E' limitativo, comunque, relegare le tele romagnole stampate nell'alveo della tradizione contadina, è evidente, infatti,
soprattutto analizzando la scelta di alcuni disegni (non tutti si ispirano al mondo agreste), l'intenzione di "copiare",
con metodi semplici e di lieve impegno economico, tessuti pregiati e decori tipici delle stoffe e degli ornamenti ricchi.
Di certo l'ornato romagnolo ottenuto attraverso la stampa ebbe una sua discreta fortuna, oltreché come gualdrappa per i buoi,
come elemento di abbellimento di coperte, asciugamani, grembiuli, cuscini, trapunte, tende e tovaglie, soluzioni, ancora oggi, tra le più apprezzate.

Le tele romagnole stampate ebbero una notevole diffusione fino agli inizi del '900.
Ma (corsi e ricorsi della moda che è tale proprio perché dimentica e riscopre) come scrive Aldo Spallicci,
insigne poeta ed appassionato sostenitore delle tradizioni romagnole:
"Nel 1910, distratta dalle mode d'Oltre Alpe, l'industria languiva.
Giacevano alla rinfusa in oscure bottegucce dei tintori, i legni annosi così profondamente incisi dalla sgorbia e dallo scalpello degli avi".
A quei tempi solo una nobildonna romagnola, Eugenia Rasponi, che abitava la poderosa Rocca di Santarcangelo,
mostrava di apprezzare il valore delle tele stampate, tanto da adornarne i muri del suo castello
e i manufatti di una fabbrica di mobili da lei stessa creata.
Ci volle una famosa esposizione etnografica (Esposizioni Romagnole Riunite), tenutasi a Forlì nel 1921, per rilanciare le tele stampate.
In quell'occasione comparvero opere (soprattutto coperte da buoi) provenienti da Rimini, Santarcangelo, Coriano, Gambettola,
Meldola, Dovadola, Ravenna e rinacque l'apprezzamento per l'ornato color ruggine.
Le botteghe ripresero vigore, gli stampi trovarono nuove applicazioni e nuovi disegni (suscitando l'allarme dei difensori della tradizione
che si concessero il puntiglio di elencare i soggetti ed i colori "permessi") e, addirittura incontrarono il favore dei mercati stranieri.

Al successo dei nostri giorni, che associa le tele stampate all'immagine stessa della tradizione romagnola,
hanno dato un contributo determinante l'impegno e la passione delle poche stamperie (una decina in tutto) che non derogano al metodo tradizionale in favore di quello serigrafico, più comodo e produttivo, ma decisamente poco fedele
allo spirito vero della tradizione di stampa su tela.
La tela rustica stampata, che solo in Romagna conserva la sua vera fisionomia, oggi deve difendersi anche dalla concorrenza sleale
di una grande quantità di prodotti di scarsissimo pregio, realizzati con procedimenti industriali ed automatizzati,
prodotti in altre regioni e, addirittura, in altri paesi europei, e spacciati come romagnoli.
Un pegno che la Romagna paga al successo ormai internazionale delle sue tele.
Un problema che gli stampatori romagnoli, superando la tradizionale rivalità accesa dalla difesa dei segreti di ogni laboratorio,
hanno risolto costituendo un'aggregazione (l'Associazione Stampatori Tele Romagnole) che ha creato un marchio
con cui contraddistinguere le vere stampe romagnole a mano.
Un segno di modernità che va di pari passo con i contatti che gli stampatori romagnoli cercano con il mercato,
un mercato che si è fatto tanto ampio da giustificare l'impiego di strumenti di comunicazione come le vie telematiche.
Molti di essi infatti hanno un sito su Internet per mostrare prodotti e caratteristiche delle botteghe, e caselle di posta elettronica per comunicare con il mondo intero.

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